Il capolavoro di Michele Gazich. Anzi: un capolavoro tout court. «La via del sale», il quinto album (oltre ad un ep) dello «scrittore di canzoni», violinista e polistrumentista.
Anticipato dal singolo «Storia dell’uomo che vendette la sua ombra», è il disco di una vita. Perché un’opera di questa natura è possibile solo nella dimensione della crescita e del tempo. Una crescita fatta di esperienza ed esperienze, di maturità, di incontri. Un tempo trascorso nell’ideazione, nella cura (come per una piantina amorevolmente accudita), nella ricerca (compresa quella di persone e strumenti adatti, per ogni passaggio).
Ha suonato, Gazich, con nomi del calibro di Mary Gauthier, Michelle Schocked, Eric Andersen, Mark Olson... Li ammira. Ricambiato (tant’è che proprio Mary ha supervisionato la traduzione in inglese dei testi). Ma non scimmiotta l’America, pur se qua e là se ne avverte l’eco. La sua ambizione era, viceversa, la costruzione di un folkrock che fosse italiano e mediterraneo: dove il colto è popolare e il popolare è colto. Tentativo (più che) riuscito. Senza avvolgersi acriticamente nel tricolore o sventolare la bandiera di un’Europa oggi lontana dalla propria storia e dai propri ideali. Ma ri-sottolineando da dove veniamo, per provare a ricordare cosa dovremmo essere.